sabato 27 luglio 2013

My Way

Era la mia sera di libera uscita, pensavo di passarla come sempre, almeno fino a quando non mi sono recato negli alloggi per togliermi di dosso la divisa: quel pesante fardello di responsabilità e di colpa, il marchio netto del mio passato, la condanna del mio presente...
<Ciao Bernie>
Avevo sentito quella voce, un sussurro tra i muri della camerata vuota, poi un tremolio nella penombra di una branda, un'immagine che prendeva forma e colore. Mi strofinai gli occhi, ma l'uomo era ancora lì, seduto, i vestiti un po' rozzi, ma di ottima fattura; il volto scavato dagli anni, i capelli ingrigiti e lo sguardo profondo. Uno sguardo come il mio.
<Padre>
<Vedi cosa succede, figlio, a mischiarsi nei conflitti tra le grandi forze dell'universo?>
L'immagine di John Neemar stava lì, immobile, le parole uscivano da quella forma, ma le labbra non si muovevano; solo gli occhi sembravano veri e mi stavano scrutando con la violenza di due coltelli affilati che scavano in un pezzo di carne.
<Non ci vediamo da anni e questa è la prima cosa che mi dici?>
<Dovrei forse lodare i tuoi insuccessi?>
Mentre fissavo quella visione improbabile, sapevo già come sarebbe andata a finire la discussione: ogni litigio con mio padre iniziava più o meno in questo modo.
<Forse dovresti, per una volta, concentrarti sui miei successi>
<Non vedo successi nel cammino che hai percorso, solo delle piccole soddisfazioni sporcate costantemente dalla tua incapacità di trovare un posto che fosse tuo nel ‘Verse>
<E secondo il tuo illustre parere che posto avrei dovuto trovare?>
<Non ne ho idea, ma finire a lavorare per conto della Flotta dell’Alleanza conducendoli passo passo al deodorante occulta droga che tu stesso hai inventato direi che è un piano perfetto per finire in galera>
<E’ la cosa giusta da fare>
<Certo figliolo, certo, come costruire una relazione con una manager sapendo che sarà costantemente in pericolo, bel modo che hai di dimostrare a qualcuno che lo ami>
<Io… non amo Lelaine Blackwood>
L’immagine di mio padre fluttuò flebilmente, si sollevò dalla brandina e nella semioscurità mosse qualche passo verso di me.
<Tu menti, Bernardo, hai solo dimenticato cosa vuol dire amare come hai dimenticato che devi cercare di sopravvivere, cosa che non stai facendo>
<Io ho sconfitto una malattia, la tua malattia>
<Non tu, Declan Khan l’ha fatto con la sua equipe medica. Una grande donna, se non sbaglio ti era balenato in mente di scopartela>
<Ho inventato farmaci e prodotti che hanno contribuito al benessere del ‘Verse>
<Piccoli e insignificanti successi, cosa sono in confronto ad aver distrutto innumerevoli vite con la droga che tanto amorevolmente creavi e diffondevi?>
<Ho salvato innumerevoli vite durante la guerra>
<Certo e ne hai anche condannate altrettante rispettando fedelmente i protocolli militari delle infermerie da campo. A conti fatti l’unico successo che in qualche modo fa sorridere queste mie membra stanche è il successo della produzione vinicola del mio terreno>
<E’ il mio terreno, non più il tuo, tu sei morto>
L’immagine ectoplasmica sorrise, come prima nessuna parola stava provenendo dalla sua bocca, chiusa e serrata.
<Io sono vivo in te, Bernie. Guardiamo ai fatti, nella mia vita ho amato soltanto i miei cani, come te, ho avuto relazioni che sono sempre finite rapidamente o male, come te, non ho mai creato nulla di strabiliante, come te. Nel giro di un decennio nessuno si ricorderà di me, come un decennio dopo la tua morte nessuno si ricorderà di te. Nemmeno quello stupido animale che ti porti sempre dietro; Cristo se non ti vedessi tutti i giorni da laggiù potrei giurare che ti scopi anche lui>
Un sussurro dalla luce dietro la porta socchiusa si arrampicò per la mia gamba, caldo e fermo. Arrivò al mio orecchio e quando mi voltai per osservare il volto di Lelaine, lei non c’era. Tornai a voltarmi, le sue parole ancora ferme nella mia mente... Io sono qui.
<Sai come si chiama mio figlio?>
<Tu non hai un figlio, sei sterile come un mulo>
<DI’ IL SUO NOME!>
La figura tremò scomponendosi per qualche istante, per poi ricomparire sulla brandina, nella semioscurità da dove si era generata
<Non conosco il nome di un figlio che non esiste>
<mio figlio esiste da qualche parte nelle possibilità di questo mondo. Mio figlio esiste e non porta il nome di quello che gli sta accanto nella culla. Mio figlio si chiama John Neemar>
La figura tremò ancora, le gambe stavano cominciando a scomparire nell’aria scura.
<John?>
<Si padre, si chiama John Neemar, come il bisnonno che avrei voluto conoscere. Si chiama John perché ogni volta che qualcuno mi chiederà se ho chiamato così mio figlio in onore di suo nonno io risponderò: NO!>
Quell’impeto spazzò via le braccia della figura che persero la loro flebile consistenza svanendo nell’oscurità. Un altro sussurro scivolò dalla porta socchiusa sfiorandomi una mano. Un bambino evanescente comparve di fianco a me, il volto sporco di saliva biancastra, lo sguardo ritorto, le labbra viola.
<Bernardo è un brav’uomo, John Neemar>
Il volto del ragazzino si volse verso di me, ruotando in modo innaturale indipendentemente dal resto del corpo che rimase orientato verso l’immagine di John della quale era rimasta oramai solo la testa. Testa dalla quale eruppero con rabbia parole d'odio.
<Tu cadrai Bernardo e quando succederà ci faremo una bella risata mentre scenderai a farci compagnia e…>
Non ebbe il tempo di dire altro, il ragazzino di scatto rivolse gli occhi morti alla testa del padre, che scomparve in un tremulo lamento di rabbia.
<Sei uno dei miei demoni vero?>
<No, i tuoi demoni sono i tuoi demoni, io sono solo un bambino, uno dei tanti che non sei capace di dimenticare>
<E c’è un modo per farlo? C’è un modo per dimenticarvi?>
<Si c’è, ma tu non vuoi farlo>
La voce divenne distante e spettrale, la forma del piccolo essere umano stava diventando trasparente, piccole particelle inconsistenti si staccavano dalla sua figura e filtravano attraverso la luce proveniente dalla porta socchiusa
<Perché non posso dimenticare? Perché non riesco ad andare avanti?>
<Perché tu sei un brav’uomo, Bernardo Neemar>
Scomparve.
L’alloggio tornò ad essere semibuio e silenzioso, Cane mi leccò la mano chiedendo la mia attenzione, gli diedi un buffetto distratto. Ero sudato ed ansimavo. Mi distesi sulla brandina solo dopo qualche minuto.

Fui pienamente consapevole in quel momento che l’espiazione sarebbe stata la mia strada, la strada che mio padre non era capace di percorrere.

Nessun commento:

Posta un commento