sabato 27 luglio 2013

My Way

Era la mia sera di libera uscita, pensavo di passarla come sempre, almeno fino a quando non mi sono recato negli alloggi per togliermi di dosso la divisa: quel pesante fardello di responsabilità e di colpa, il marchio netto del mio passato, la condanna del mio presente...
<Ciao Bernie>
Avevo sentito quella voce, un sussurro tra i muri della camerata vuota, poi un tremolio nella penombra di una branda, un'immagine che prendeva forma e colore. Mi strofinai gli occhi, ma l'uomo era ancora lì, seduto, i vestiti un po' rozzi, ma di ottima fattura; il volto scavato dagli anni, i capelli ingrigiti e lo sguardo profondo. Uno sguardo come il mio.
<Padre>
<Vedi cosa succede, figlio, a mischiarsi nei conflitti tra le grandi forze dell'universo?>
L'immagine di John Neemar stava lì, immobile, le parole uscivano da quella forma, ma le labbra non si muovevano; solo gli occhi sembravano veri e mi stavano scrutando con la violenza di due coltelli affilati che scavano in un pezzo di carne.
<Non ci vediamo da anni e questa è la prima cosa che mi dici?>
<Dovrei forse lodare i tuoi insuccessi?>
Mentre fissavo quella visione improbabile, sapevo già come sarebbe andata a finire la discussione: ogni litigio con mio padre iniziava più o meno in questo modo.
<Forse dovresti, per una volta, concentrarti sui miei successi>
<Non vedo successi nel cammino che hai percorso, solo delle piccole soddisfazioni sporcate costantemente dalla tua incapacità di trovare un posto che fosse tuo nel ‘Verse>
<E secondo il tuo illustre parere che posto avrei dovuto trovare?>
<Non ne ho idea, ma finire a lavorare per conto della Flotta dell’Alleanza conducendoli passo passo al deodorante occulta droga che tu stesso hai inventato direi che è un piano perfetto per finire in galera>
<E’ la cosa giusta da fare>
<Certo figliolo, certo, come costruire una relazione con una manager sapendo che sarà costantemente in pericolo, bel modo che hai di dimostrare a qualcuno che lo ami>
<Io… non amo Lelaine Blackwood>
L’immagine di mio padre fluttuò flebilmente, si sollevò dalla brandina e nella semioscurità mosse qualche passo verso di me.
<Tu menti, Bernardo, hai solo dimenticato cosa vuol dire amare come hai dimenticato che devi cercare di sopravvivere, cosa che non stai facendo>
<Io ho sconfitto una malattia, la tua malattia>
<Non tu, Declan Khan l’ha fatto con la sua equipe medica. Una grande donna, se non sbaglio ti era balenato in mente di scopartela>
<Ho inventato farmaci e prodotti che hanno contribuito al benessere del ‘Verse>
<Piccoli e insignificanti successi, cosa sono in confronto ad aver distrutto innumerevoli vite con la droga che tanto amorevolmente creavi e diffondevi?>
<Ho salvato innumerevoli vite durante la guerra>
<Certo e ne hai anche condannate altrettante rispettando fedelmente i protocolli militari delle infermerie da campo. A conti fatti l’unico successo che in qualche modo fa sorridere queste mie membra stanche è il successo della produzione vinicola del mio terreno>
<E’ il mio terreno, non più il tuo, tu sei morto>
L’immagine ectoplasmica sorrise, come prima nessuna parola stava provenendo dalla sua bocca, chiusa e serrata.
<Io sono vivo in te, Bernie. Guardiamo ai fatti, nella mia vita ho amato soltanto i miei cani, come te, ho avuto relazioni che sono sempre finite rapidamente o male, come te, non ho mai creato nulla di strabiliante, come te. Nel giro di un decennio nessuno si ricorderà di me, come un decennio dopo la tua morte nessuno si ricorderà di te. Nemmeno quello stupido animale che ti porti sempre dietro; Cristo se non ti vedessi tutti i giorni da laggiù potrei giurare che ti scopi anche lui>
Un sussurro dalla luce dietro la porta socchiusa si arrampicò per la mia gamba, caldo e fermo. Arrivò al mio orecchio e quando mi voltai per osservare il volto di Lelaine, lei non c’era. Tornai a voltarmi, le sue parole ancora ferme nella mia mente... Io sono qui.
<Sai come si chiama mio figlio?>
<Tu non hai un figlio, sei sterile come un mulo>
<DI’ IL SUO NOME!>
La figura tremò scomponendosi per qualche istante, per poi ricomparire sulla brandina, nella semioscurità da dove si era generata
<Non conosco il nome di un figlio che non esiste>
<mio figlio esiste da qualche parte nelle possibilità di questo mondo. Mio figlio esiste e non porta il nome di quello che gli sta accanto nella culla. Mio figlio si chiama John Neemar>
La figura tremò ancora, le gambe stavano cominciando a scomparire nell’aria scura.
<John?>
<Si padre, si chiama John Neemar, come il bisnonno che avrei voluto conoscere. Si chiama John perché ogni volta che qualcuno mi chiederà se ho chiamato così mio figlio in onore di suo nonno io risponderò: NO!>
Quell’impeto spazzò via le braccia della figura che persero la loro flebile consistenza svanendo nell’oscurità. Un altro sussurro scivolò dalla porta socchiusa sfiorandomi una mano. Un bambino evanescente comparve di fianco a me, il volto sporco di saliva biancastra, lo sguardo ritorto, le labbra viola.
<Bernardo è un brav’uomo, John Neemar>
Il volto del ragazzino si volse verso di me, ruotando in modo innaturale indipendentemente dal resto del corpo che rimase orientato verso l’immagine di John della quale era rimasta oramai solo la testa. Testa dalla quale eruppero con rabbia parole d'odio.
<Tu cadrai Bernardo e quando succederà ci faremo una bella risata mentre scenderai a farci compagnia e…>
Non ebbe il tempo di dire altro, il ragazzino di scatto rivolse gli occhi morti alla testa del padre, che scomparve in un tremulo lamento di rabbia.
<Sei uno dei miei demoni vero?>
<No, i tuoi demoni sono i tuoi demoni, io sono solo un bambino, uno dei tanti che non sei capace di dimenticare>
<E c’è un modo per farlo? C’è un modo per dimenticarvi?>
<Si c’è, ma tu non vuoi farlo>
La voce divenne distante e spettrale, la forma del piccolo essere umano stava diventando trasparente, piccole particelle inconsistenti si staccavano dalla sua figura e filtravano attraverso la luce proveniente dalla porta socchiusa
<Perché non posso dimenticare? Perché non riesco ad andare avanti?>
<Perché tu sei un brav’uomo, Bernardo Neemar>
Scomparve.
L’alloggio tornò ad essere semibuio e silenzioso, Cane mi leccò la mano chiedendo la mia attenzione, gli diedi un buffetto distratto. Ero sudato ed ansimavo. Mi distesi sulla brandina solo dopo qualche minuto.

Fui pienamente consapevole in quel momento che l’espiazione sarebbe stata la mia strada, la strada che mio padre non era capace di percorrere.

domenica 14 luglio 2013

Born

John Neemar siede accanto al letto della donna che nove mesi prima aveva messo incinta.
E' una donna discretamente bella e probabilmente è la sua unica qualità, John la fissa nel sonno, ripassando mentalmente tutte le possibilità che si sarebbero potute realizzare una volta che si fosse svegliata.
Nessuna delle possibilità sembra piacergli particolarmente.
"Dov'è il bambino?"
John alza lo sguardo, l'espressione rugosa e seria.
"Lo stanno visitando, per ora va tutto bene"
Lei si volta a guardarlo.
"Io non lo voglio"
"Sei convinta a procedere su questa via, allora"
Sospira, si volta a guardare il soffitto non senza una certa fatica, il parto non era stato privo di qualche complicazione.
"Si, avevamo un accordo in tal senso"
Lean Arrow, le cosce di una ballerina del Crazy Horse Saloon di Greenfield: è questo il primo pensiero che sfiora la mente di John mentre osserva la donna che ha appena disconosciuto suo figlio.
"Sarai una sconosciuta per lui e non gli dirai che sei sua madre; penserò io alle sue necessità"
La ballerina aveva sempre detestato i bambini e la gravidanza non le aveva fatto cambiare idea in merito; l’aveva sopportata solo perché John Neemar l’aveva costantemente retribuita. Non nutriva nessun attaccamento per quell’uomo, anzi lo odiava nel profondo perché riusciva a tenerla avvinta con il profumo dei soldi.
“Sei deciso a tenerlo quindi”
“Hai conosciuto Stella Neemar, Lean, sai come ci muoviamo in queste cose”
“Hai già scelto un nome?”
“Credevo non ti importasse”
“… infatti non mi importa, è solo per dimenticare i dolori post operatori”
John scruta a fondo la figura della ballerina, non ci vuole un genio per capire che sta mentendo. Di lì a poco si alza facendo perno sul bastone da passeggio; la malattia genetica non era ancora in uno stadio avanzato.
“Gli racconterò che l’hanno abbandonato sulla porta di casa mia e che l’ho adottato”
Lean sospira voltandosi dalla parte opposta.
“Mi sembra che regga, ma quando avrà raggiunto una certa età questa storia farà acqua da tutte le parti”
“Non resta che augurarmi che per allora tu sia già morta”
John si volta e muove i primi passi assistiti dal bastone verso l’uscita della camera.
Lean voltata verso la finestra della stanza rimanein silenzio.

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“E’ un bel bambino, come lo vuole chiamare?”
John sta dietro il vetro che lo separa dalla stanza dei neonati, osserva suo figlio, il prodotto dei suoi lombi, mentre dorme tranquillo. Di fianco altri bambini, facce senza senso, corpi senza differenza se non per un organo genitale abbozzato tra le gambe ed una tutina di colore diverso.
Non aveva ancora pensato ad un nome, osservò la targhetta del bambino di fianco al suo, questo era lo sforzo massimo che intendeva dedicare alla ricerca di un nome.
“Bernardo”

giovedì 11 luglio 2013

Jumble

Le tre di notte arrivano senza che me ne renda effettivamente conto.
Tiro su il busto e mi volto a sedere sul letto, osservo in basso quel poco di ciccia che per quanto mi impegni non riesco ad abbattere.
Per un non ben definito motivo mi metto a ripercorrere con lo sguardo tutta la storia scritta sul mio vecchio e stanco corpo, le cicatrici della guerra, quelle procuratemi nei laboratori universitari e quelle generatesi da interventi in ospedale.
Lelaine dorme nuda in camera, osservo i suoi lineamenti seminascosti dalla coperta bianca in seta, illuminati da un lampo che in quel momento squarcia il cielo notturno, poi mi tiro in piedi e prima che ne abbia coscienza mi ritrovo seduto in cucina.
Sobbalzo ad ogni rumore, la prova che la mia mente non ha mai lasciato la lattina volante, come non ha mai veramente lasciato il laboratorio di Richleaf.
Se chiudo gli occhi la sua immagine mi balza subito in mente, ripercorro il luogo, osservo le materie prime stipate in un angolo.
Per un momento quella visione stava per tornare vera, in una luce molto diversa... Ero in quel luogo, costretto al mio banco di lavoro, davanti a me oltre il tavolo Electra teneva una Lelaine svenuta per i capelli, con un coltello premuto sulla gola, mentre Nancy mi puntava tremante una pistola al petto. Io lavoravo, ma sapevo già come sarebbe andata a finire, il mio tormento sarebbe cresciuto ad ogni step di sintetizzazione fino a quando proseguire sarebbe stato impossibile, a quel punto Lelaine sarebbe morta in un lago di sangue ed io freddato da un singolo proiettile.
E' il pulcioso a distogliermi da questi pensieri infilandomi il muso nel palmo della mano. Scatto, come se mi avessero pugnalato il braccio, lo guardo, mi chiedo da quanto tempo sia lì a osservarmi.
Non gli controllo il pelo da un po' di tempo, decido che è il momento, mi stacco dalla sedia e mi siedo a terra; lui si avvicina, comincio a esaminargli il manto in lungo e in largo, con minuziosa attenzione.
Nessun parassita, sorrido soddisfatto della sua pulizia e del mio spassionato lavoro; quel gesto ha spazzato via ogni preoccupazione, mi sento leggero e libero, ma è un momento che dura molto poco.
Ritorno verso il letto, Cane si acciambella nei pressi; il temporale è finito, un cielo terso sovrasta una Capital City che non dorme mai, la luce delle stelle illumina a tratti il profilo della Manager della Blue Sun.
Mentre la osservo penso a come la tocco di solito, non sono tocchi leggeri nè gentili, me ne rendo conto; sono gesti stratificati da un coacervo di tristezze, violenze e frustrazioni del passato, sporchi di ricordi che non riesco a lavare nemmeno in quei momenti di grande intimità, con il risultato che non riesco mai a vivere un'esperienza veramente sana o genuina.
Tiro un lungo sospiro, e mi siedo a terra a pensare.
Passa un tempo indefinito, poi sento delle mani che scivolano sulle mie spalle, mi volto di scatto tentando di liberarmi dai gesti fruscianti del mio assassino...
Mi trovo di fronte Lelaine inginocchiata che in totale silenzio si tiene una mano con l'altra; probabilmente le ho fatto male in qualche modo, ma lei non sembra dare peso all'episodio.
In qualche secondo torna ad avvicinarsi come se fosse convinta che io non possa davvero fare nulla per ferirla.

domenica 7 luglio 2013

Woof, Crash

Sai di cosa sono capace, non costringermi a farti del male

Tutto è cominciato quel giorno sulla Carnival Mistress; un progetto avviato dalla Proprietà dello Skyplex Hall Point.
Electra Williams stava improbabilmente dirigendo i lavori di sistemazione della nave, io la osservavo dal basso sulla struttura che fiancheggiava la Nova; a quei tempi zoppicavo ancora.
La chiamai con un cenno della mano, lei scese per ottemperare alle formalità che si devono ai nuovi arrivati; ci presentammo a vicenda, notai che aveva un qualcosa di vitale e scintillante in corpo, qualcosa che a me mancava decisamente da tanto tempo.
Forse fu per quel motivo che la appoggiai in segreto a scapito di Bill Blackbourne, quando la Proprietà istituì la gara per la nomina dell'Head.

Ho chiesto a Godot, il securer che una volta si assicurava della mia incolumità e che ora invece era il mio secondino, di portarmi una bottiglia di alcolico. Ora la sto osservando sul tavolino e so di essere debole. Cane non è qui e il suo pensiero non è sufficiente a tenermi distante dall'alcol. Allungo la mano per prendere la bottiglia... un sorso, solo un sorso per prepararmi ai giorni a venire, giorni nei quali...

Woof

Mi volto di scatto, l'ho sentito, giuro di averlo sentito... Mi alzo con la bottiglia in mano, mi osservo attorno nella speranza che venga fuori.
Non è qui.

Crash

Ho scagliato la bottiglia contro il pavimento in un moto di rabbia, la rabbia di chi ricorda poche e importanti parole

Se mai mi tradirai, se mai ti metterai contro di me, fallo in modo onesto

La rabbia monta sempre di più, fino a lasciarmi senza fiato.
Tanta sofferenza completamente svuotata del suo significato.

sabato 6 luglio 2013

Character's Sheets

Alcune standardizzazioni secondo il modello dei personaggi di Ballad Of Serenity di qualche personaggio apparso nei racconti di questo Blog

Nome: Mika Cuntor (all'età di 21 anni)
Classe: Diplomatico liv1
Descrizione: Mediamente alta, capelli tenuti per lo più corti e di color ebano, sguardo di un acceso e intenso color azzurro, nasce e cresce in una famiglia benestante di Horyzon, sfrutta le sue spiccate doti nelle pubbliche relazioni studiando scienze politiche all'università. E' una persona allegra e disinibita, decisa e convinta fumatrice di bloom nelle sue molteplici varietà, con una predilezione per le foglie aromatizzate alla cannella. Benchè sia nata nel core, sviluppa in università idee filo-indipendentiste.
Skills Generiche: Linguistica, Stile ed Eleganza, Perfect Trader
Skills di Classe: Antropologia Planetaria
Flaws: Pride

Nome: Mika Cuntor (all'età di 42 anni)
Classe: Diplomatico liv3
Descrizione: Mediamente alta, capelli tenuti lunghi di color biondo tinto, sguardo di un acceso e intenso color azzurro, Dopo gli studi universitari si sposa con Bernardo Neemar e avvia una attività in proprio riscuotendo discreti successi come mediatrice culturale e mediatrice politica. Le sue idee filo indipendentiste sfociano in un aperto, ma blando appoggio ai gruppi di liberazione dei mondi dell'outer Rim, con i quali ha dei contatti abbastanza stretti. Gli anni l'hanno resa più bella e affascinante, il matrimonio è difficile e quindi non tarda a consolarsi. In seguito al divorzio si trasferisce su New London e fa una vita agiata. E' una persona poco allegra e disinibita, non fuma più la Bloom dai tempi dell'università, ma nei momenti di maggior depressione fa uso di sostanze stupefacenti più pesanti.
Skills GenericheLinguisticaStile ed Eleganza, Perfect Trader, Lanciare, Talento Artistico (danza), Punto Critico
Skills di Classe: Antropologia Planetaria, Individuare difetti, Distinguere la Menzogna. 
Flaws: Attrazione Irrazionale: Altro Sesso (Sostituisce Pride), Vertigini

Nome: Armand Cooper (all'età di 35 anni)
Classe: Medico liv3
Descrizione: Di bassa statura, nasce su New London da una famiglia abbiente, passa un'infanzia felice fino alla morte del padre. L'evento lo sconvolge a tal punto che raggiunta la maggiore età decide di abbandonare New London per trasferirsi su Horyzon. Lì frequenta l'università di Capital City laureandosi in Chimica con ottimi voti. Rimane a lavorare in ambiente universitario e condivide numerose esperienze professionali con Bernardo Neemar, del quale rimarrà uno degli amici più fidati. Nell'ambiente Core è un conosciuto e stimato scienziato, oltre che noto attore di teatro amatoriale.
Skills Generiche: Pronto Soccorso, Conoscenze Veterinarie Generiche, Talento Artistico (teatro), Stile ed Eleganza, Occhio di Falco, Muoversi a Gravità Zero.
Skills di Classe: Analisi Chimica Rapida, Farmacia, Farmacia Avanzata
Flaws: Generosità Eccessiva, Lealtà Incrollabile


Nome: Marcus Daliño (all'età di 12 anni)
Classe: Pilota liv2
Descrizione: Un ragazzino dallo spirito libero e ribelle, corti capelli biondi scombinati e sguardo da folle idealista. Un sorriso corre sempre sul suo volto, un sorriso di sfida. Nasce a Maracay su Richleaf, la droga distrugge tutta la sua famiglia meno suo fratello; in seguito a ciò sviluppa una forte avversione per gli stupefacenti ed in genere l'illegalità. Durante la grande guerra fonda la banda delle Libellule di Ferro, un gruppo di ragazzini che fanno da corrieri e passano informazioni importanti alla Flotta dell'Alleanza. Il gruppo viene completamente annichilito durante un'operazione militare andata male, solo Marcus sopravvive, per morire poco dopo sull'Avenger Alleato che si allontana da Maracay.
Skills Generiche: Pilotare, Guidare, Artiglieria, Utilizzare Sistemi Sensori, Pilota Provetto (Iron Dragonfly)
Skills di Classe: Precisione Assoluta, Maestro della Guida
Flaws: Attrazione Irrazionale: Pericolo

Maestro della Guida (Skill di Classe Pilota)
Chi possiede questa skill è in grado di salire su un mezzo, accenderlo e partire alla massima velocità in un unico turno, parimenti è in grado di arrestare la corsa e scendere dal mezzo in un unico turno ed è in grado di farlo in modo sicuro.

Iron Dragonfly (Veicolo)

L'ID è un veicolo biposto di piccole dimensioni, adatto a spostamenti urbani in grande rapidità. La forma ricorda quella di una motocicletta, ma utilizza due paia di ali ai lati al posto delle consuete ruote per muoversi e rimanere sospeso in aria. Data la conformazione e il sistema di propulsione, è un veicolo silenzioso. Può raggiungere una velocità di 100 km/h pur mantenendo un'ottima manovrabilità e chi sta utilizzando un'arma contro questo veicolo si considera come se fosse un Solo di un livello inferiore.

Farmacia Avanzata (Skill di Classe Medico)

Questa skill permette al medico di esercitare le capacità espresse nella Skill Farmacia non disponendo di un laboratorio completamente attrezzato e compensando le carenze con mezzi di fortuna. Ai fini di gioco un Medico che possiede questa skill è in grado di sintetizzare le sostanze chimiche più comuni in assenza di un laboratorio attrezzato e di sintetizzare sostanze anche molto complesse in un laboratorio non completamente attrezzato; un minimo di attrezzatura è comunque necessaria per le sostanze più complesse.

lunedì 1 luglio 2013

Iron Dragonfly

Durante la guerra conobbi un ragazzo.

Si chiamava Marcus Daliño, Cane deviò verso il tuo lettino mentre la veloce nave di classe Avenger della Flotta dell'Alleanza si stava allontanando da Richleaf.
Nessun sopravvissuto a parte lui, in una delle più importanti operazioni militari durante il conflitto.
Non mi avevano messo a conoscenza dell'operazione, ero sull'Avenger Alleato unicamente per prestare soccorso d'urgenza a tutti i feriti che avremmo caricato sulla nave. Io e il mio team eravamo pronti, ma quando il portellone si aprì, solo un individuo fu caricato. Vidi uno degli ufficiali sull'Avenger scuotere il capo.
Seppi così che l'operazione era fallita.
Marcus Daliño. Mentre i miei passi solcano la distanza che mi separa dalla barella sgangherata e dalla ridicola infermeria improvvisata, mi rendo conto che è solo un ragazzino. Durante l'operazione per amputargli il braccio destro e la gamba sinistra non me n'ero accorto, di quel momento nella mente ho unicamente un fruscio indistinto e immagini di un'esperienza extracorporea. Mi capitava abbastanza spesso di andare in automatismo, eliminavo qualunque mia presenza emotiva ed agivo meccanicamente. In quegli stati ho condotto i miei interventi di maggior successo.
<... Ferro nel cuore!>
Mi sussurra prima che la voce ceda e il capo che si era alzato a fatica ripiombi nel cuscino. Siedo su una delle sedie accanto al lettino mentre l'Avenger si inoltra nello spazio profondo.
<Non sforzarti, riposa>
Osservo l'intervento che ha subito, osservo i parametri vitali, sospiro.
<... Qu... Quanti?>
Intendeva sopravvissuti? forse, perchè risposi con una certa sicurezza.
<Nessuno oltre a te>
La risposta gli strappò un sorriso soddisfatto ed un colpo di tosse spossante. Sono ancora io a parlare.
<Troppo antidolorifico?>
Il sorriso si acquieta, prima di scomparire, non riesco a capire dove trovi la forza di parlare nelle condizioni in cui è.
<Loro sapevano. Quando siamo entrati loro sapevano, sono tutti morti>
<Se lo sapevi perchè me l'hai chiesto?>
<Volevo vedere se potevi essere idoneo>
<Idoneo per cosa?>
Cane era lì, nei pressi, ci osservava da qualche metro, come se stesse monitorando la situazione.
<Per essere una libellula di ferro>
Avevo sentito quel nome, le notizie che circolavano a Richleaf e a cui i medici della Flotta avevano accesso parlavano di un gruppo di affiliati alla Flotta che sfrecciavano per le vie di Maracay su piccoli e scattanti velocipedi muniti di ali. Sorrisi lievemente.
<ne sono onorato>
<Non devi accettare per compassione, non c'è posto per la pietà, c'è solo l'ebrezza della corsa e il ferro nel cuore>
Occhi di un visionario, un ragazzino di dodici anni mi stava mettendo a disagio. Il mio sorriso si spense, ci pensai un istante ed annuii. Il ferro nel cuore, l'ebrezza della corsa; potevo capire, ciò che stava dicendo vibrava dentro di me con la nota stridula di una forchetta su un piatto in ceramica.
<Perchè sono idoneo?>
Lui indicò il suo braccio e la sua gamba mancante con lo sguardo, poi indicò il Bloodhound
<Hai il ferro nel cuore e lui ha l'ebrezza della corsa... Se quello è il tuo cane allora sarete idonei, non solo tu o solo lui... entrambi...>
Strizzò gli occhi, tirò indietro la testa in uno spasmo di dolore. Non mi mossi di un millimetro, sentivo che voleva superare la sofferenza da solo. Dopo qualche istante svenne, osservai i parametri vitali, era ancora in questo mondo. Si risvegliò un'ora dopo, io ero ancora lì; dopo qualche minuto ripresi a parlare, mentre gli stavo facendo un'iniezione.
<Io e il Bloodhound siamo un'unica entità, e quest'entità accetta>
Cane era al mio fianco, si stava mordicchiando le chiappe.
<... Bene>
Cercò di tirarsi su, ma l'assenza di forze gli impedì quasi ogni movimento; la cosa sembrò divertirlo in qualche modo.
<Niente inutili... cerimonie. Siete una libellula di ferro, ora>
Mi fece specie rivolgermi a quel ragazzino come ad un ufficiale della Flotta.
<Ordini, comandante?>
<... Quando morirò... quando questa guerra sarà finita... quando l'Alleanza avrà vinto... Tu soldato andrai su Richleaf, nel nostro covo, raccoglierai i dati che lì troverai, conoscerai... la nostra storia... e quando sarai pronto... la diffonderai>
Tossì pesantemente, i parametri vitali schizzarono, ma più diventavano anomali, più il ragazzino sembrò riacquistare lucidità.
<la diffonderai con il mezzo che riterrai più...>
In quel momento il suo sguardo divenne vuoto, le labbra si rilassarono, così i muscoli del viso.
<... idoneo>
Completai le sue ultime volontà, ma non gli chiusi gli occhi.

Il ferro nel cuore.