Era la mia sera di libera uscita, pensavo di
passarla come sempre, almeno fino a quando non mi sono recato negli alloggi per
togliermi di dosso la divisa: quel pesante fardello di responsabilità e di
colpa, il marchio netto del mio passato, la condanna del mio presente...
<Ciao Bernie>
Avevo sentito quella voce, un sussurro tra i
muri della camerata vuota, poi un tremolio nella penombra di una branda,
un'immagine che prendeva forma e colore. Mi strofinai gli occhi, ma l'uomo era
ancora lì, seduto, i vestiti un po' rozzi, ma di ottima fattura; il volto
scavato dagli anni, i capelli ingrigiti e lo sguardo profondo. Uno sguardo come
il mio.
<Padre>
<Vedi cosa succede, figlio, a mischiarsi
nei conflitti tra le grandi forze dell'universo?>
L'immagine di John Neemar stava lì, immobile,
le parole uscivano da quella forma, ma le labbra non si muovevano; solo gli
occhi sembravano veri e mi stavano scrutando con la violenza di due coltelli
affilati che scavano in un pezzo di carne.
<Non ci vediamo da anni e questa è la prima
cosa che mi dici?>
<Dovrei forse lodare i tuoi insuccessi?>
Mentre fissavo quella visione improbabile,
sapevo già come sarebbe andata a finire la discussione: ogni litigio con mio
padre iniziava più o meno in questo modo.
<Forse dovresti, per una volta,
concentrarti sui miei successi>
<Non vedo successi nel cammino che hai
percorso, solo delle piccole soddisfazioni sporcate costantemente dalla tua
incapacità di trovare un posto che fosse tuo nel ‘Verse>
<E secondo il tuo illustre parere che posto
avrei dovuto trovare?>
<Non ne ho idea, ma finire a lavorare per
conto della Flotta dell’Alleanza conducendoli passo passo al deodorante occulta
droga che tu stesso hai inventato direi che è un piano perfetto per finire in
galera>
<E’ la cosa giusta da fare>
<Certo figliolo, certo, come costruire una
relazione con una manager sapendo che sarà costantemente in pericolo, bel modo
che hai di dimostrare a qualcuno che lo ami>
<Io… non amo Lelaine Blackwood>
L’immagine di mio padre fluttuò flebilmente,
si sollevò dalla brandina e nella semioscurità mosse qualche passo verso di me.
<Tu menti, Bernardo, hai solo dimenticato
cosa vuol dire amare come hai dimenticato che devi cercare di sopravvivere,
cosa che non stai facendo>
<Io ho sconfitto una malattia, la tua
malattia>
<Non tu, Declan Khan l’ha fatto con la sua
equipe medica. Una grande donna, se non sbaglio ti era balenato in mente di scopartela>
<Ho inventato farmaci e prodotti che hanno
contribuito al benessere del ‘Verse>
<Piccoli e insignificanti successi, cosa
sono in confronto ad aver distrutto innumerevoli vite con la droga che tanto
amorevolmente creavi e diffondevi?>
<Ho salvato innumerevoli vite durante la
guerra>
<Certo e ne hai anche condannate
altrettante rispettando fedelmente i protocolli militari delle infermerie da
campo. A conti fatti l’unico successo che in qualche modo fa sorridere queste
mie membra stanche è il successo della produzione vinicola del mio terreno>
<E’ il mio terreno, non più il tuo, tu sei
morto>
L’immagine ectoplasmica sorrise, come prima
nessuna parola stava provenendo dalla sua bocca, chiusa e serrata.
<Io sono vivo in te, Bernie. Guardiamo ai
fatti, nella mia vita ho amato soltanto i miei cani, come te, ho avuto relazioni
che sono sempre finite rapidamente o male, come te, non ho mai creato nulla di
strabiliante, come te. Nel giro di un decennio nessuno si ricorderà di me, come
un decennio dopo la tua morte nessuno si ricorderà di te. Nemmeno quello
stupido animale che ti porti sempre dietro; Cristo se non ti vedessi tutti i
giorni da laggiù potrei giurare che ti scopi anche lui>
Un sussurro dalla luce dietro la porta
socchiusa si arrampicò per la mia gamba, caldo e fermo. Arrivò al mio orecchio
e quando mi voltai per osservare il volto di Lelaine, lei non c’era. Tornai a
voltarmi, le sue parole ancora ferme nella mia mente... Io sono qui.
<Sai come si chiama mio figlio?>
<Tu non hai un figlio, sei sterile come un
mulo>
<DI’ IL SUO NOME!>
La figura tremò scomponendosi per qualche
istante, per poi ricomparire sulla brandina, nella semioscurità da dove si era
generata
<Non conosco il nome di un figlio che non
esiste>
<mio figlio esiste da qualche parte nelle
possibilità di questo mondo. Mio figlio esiste e non porta il nome di quello
che gli sta accanto nella culla. Mio figlio si chiama John Neemar>
La figura tremò ancora, le gambe stavano
cominciando a scomparire nell’aria scura.
<John?>
<Si padre, si chiama John Neemar, come il
bisnonno che avrei voluto conoscere. Si chiama John perché ogni volta che
qualcuno mi chiederà se ho chiamato così mio figlio in onore di suo nonno io
risponderò: NO!>
Quell’impeto spazzò via le braccia della
figura che persero la loro flebile consistenza svanendo nell’oscurità. Un altro
sussurro scivolò dalla porta socchiusa sfiorandomi una mano. Un bambino
evanescente comparve di fianco a me, il volto sporco di saliva biancastra, lo
sguardo ritorto, le labbra viola.
<Bernardo è un brav’uomo, John Neemar>
Il volto del ragazzino si volse verso di me,
ruotando in modo innaturale indipendentemente dal resto del corpo che rimase
orientato verso l’immagine di John della quale era rimasta oramai solo la
testa. Testa dalla quale eruppero con rabbia parole d'odio.
<Tu cadrai Bernardo e quando succederà ci faremo
una bella risata mentre scenderai a farci compagnia e…>
Non ebbe il tempo di dire altro, il ragazzino
di scatto rivolse gli occhi morti alla testa del padre, che scomparve in un tremulo
lamento di rabbia.
<Sei uno dei miei demoni vero?>
<No, i tuoi demoni sono i tuoi demoni, io sono solo un bambino, uno dei tanti
che non sei capace di dimenticare>
<E c’è un modo per farlo? C’è un modo per
dimenticarvi?>
<Si c’è, ma tu non vuoi farlo>
La voce divenne distante e spettrale, la forma
del piccolo essere umano stava diventando trasparente, piccole particelle
inconsistenti si staccavano dalla sua figura e filtravano attraverso la luce
proveniente dalla porta socchiusa
<Perché non posso dimenticare? Perché non riesco ad andare avanti?>
<Perché tu sei un brav’uomo, Bernardo
Neemar>
Scomparve.
L’alloggio tornò ad essere semibuio e
silenzioso, Cane mi leccò la mano chiedendo la mia attenzione, gli diedi un
buffetto distratto. Ero sudato ed ansimavo. Mi distesi sulla brandina solo dopo
qualche minuto.
Fui pienamente consapevole in quel momento che
l’espiazione sarebbe stata la mia strada, la strada che mio padre non era capace
di percorrere.