sabato 31 agosto 2013

God's Love

Sono rientrato nel mio modesto appartamento da poco, mi stropiccio il volto con vigore per scacciare la tensione, la mano passa sulla barba ispida, sulle labbra.
Affiorano i ricordi, non riuscirò a dormire, devo prendere una pillola.

Il mio nome è Mullin Lee Carter, sono un consulente informatico, il mio pianeta di origine è Greenfield. Ero un pecoraio, un mandriano fino a poco tempo fa, prima che la fortuna mi sorridesse, prima che Horyzon diventasse possibile e reale.

Questo mi ripeto di fronte allo specchio, mentre osservo la mia immagine che porta alla bocca la pillola.

Io sono Mullin Lee Carter, sono un uomo semplice, adoro le notti stellate, le osservo pensando che nascondano chissà quali segreti, in realtà ne sono solo irrazionalmente affascinato; la mia vita non ha avuto nulla di straordinariamente posivito nè negativo; finite la scuola inferiore, ogni giorno porto a pascolare il gregge, mi siedo su una roccia dalla quale posso osservarle tutte e apro il mio libro di informatica. E' una vecchia edizione, gualcita e sdrucita, ma è tutto ciò che mi serve. La sera torno a casa dopo una lunga giornata di lavoro, mi sento pieno di vita, ma insoddisfatto. Un giorno perdo una pecora, un lupo solitario l'ha presa perchè si è allontanata dal gregge. Mio padre è furioso, prende il libro di programmazione e lo brucia nel camino, in quel momento decido di prendere un altro libro; più mio padre mi ostacola più io divento forte. Do rifugio in segreto ad un grosso cane randagio, gli insegno a fare il pastore, all'inizio è dura, ma poi impara e mi da il tempo per continuare a studiare. Un cane. Cane.

I miei denti si serrano sulla pillola, la tengo sospesa, il respiro lento la lambisce minaccioso.

Io sono Mullin Lee Carter, ho fatto il colloquio di lavoro presso la Blue Sun, prima di candidarmi per quest'azienda ho provato alla Wayland ed alla Crimson Flux, ma mi hanno riso in faccia: nessuna competenza certificata, solo un diploma di scuola inferiore ed una promessa di capacità. CEO Krushenko mi ha accolto per l'audacia e l'impegno che le ho mostrato nel colloquio, CEO Krushenko mi ha assunto perchè ha avuto fiducia in me.

I denti spingono la pillola in bocca, la lingua la inumidisce, prendo un bicchiere d'acqua.

Il mio nome è Mullin Lee Carter, dottoressa Blackwood, lieto di conoscerla, lei non lo sa ma presto saremo ottimi amici, passeremo le pause pranzo assieme in azienda, lavoreremo in team. Ogni tanto è triste, lo so, non lo nasconde così bene, ma poi torna a sorridere. Ogni volta penso che lei stia per cadere, eppure si rialza sempre e mi dona quell'espressione felice, che mi impedisce di ignorare ogni buon senso per darle un bacio. Le sue labbra dottoressa, non possono mentire, lei ama ancora un altro uomo. Un altro uomo. Bernardo Neemar.

Porto il bicchiere alla bocca e bevo un lungo sorso, poi lo appoggio al lavabo con scarso garbo.

Io mi chiamo Mullin Lee Carter, credo che Dio mi abbia messo a dura prova, ma alla fine mi sono dimostrato un degno figlio. Signore, la maggior parte degli abitanti del 'Verse dice che sei un paradosso, che le parole che hai consegnato all'uomo perchè le comprendesse e le facesse sue sono insostenibili, impossibili da seguire. Dicono che è logico tu non possa esistere. Io non so se tu esisti nella logica oppure no, so solo che quando leggo ciò che hai compiuto dai testi sacri, non posso fare a meno di capire. Dio, tu hai amato l'essere umano più di qualunque altra cosa, l'amore sconfinato che hai provato per lui ti ha incatenato quando l'uomo ha scelto di conoscere, quando l'uomo ha scelto di lasciarti. Non c'è amore più grande di quello che costringe a separarsi da chi si ama per la sua propria felicità. L'essere umano è capace di questo amore sconfinato?

Non lo so e in effetti io non sono Dio.

Io... Vorrei essere Mullin Lee Carter, ma... Io sono Bernardo Neemar e non sono capace di separarmi da Lei.

lunedì 5 agosto 2013

Cleaner

Clang

La porta di sbarre si chiude dietro la mia schiena con un clangore roco di metallo vecchio ed arrugginito, non mi volto a guardare dietro di me, non mi volto a piangere la libertà e le amicizie che ho sacrificato.

Nelle sinapsi cerebrali si trasmette un solo segnale: La paura della gabbia.

Espiazione: C'è solo un modo per mondare davvero i tormenti della propria anima, continuare a soffrire finchè il suono assordante della sofferenza non sovrasta il lamento della colpa.
La colpa non si cancella, si sostiene, si sopporta, qualcuno ci si aggrappa e ne trae una forza incommensurabile, qualcuno non riesce neanche a sfiorarla e si brucia lentamente al calore della sua fiamma.
Visioni, allucinazioni e incubi sempre più forti, fino a non poterli sopportare, fino a piangere e a nascondere il volto tra le mani come un bambino.

Dopo qualche istante, per la prima volta osservo veramente la mia cella, grigia, semplice e scarna, un cessetto nell'angolo, una branda usurata ed un lavabo sbeccato in qualche punto.
Apro l'acqua, il suono di un getto irregolare sul marmo grigio mi entra nella testa come il suono di un martello pneumatico. Mi lavo il viso, sento le gocce scendere lungo i capelli corti e qualcuna si incastra nella barba... so che ripeterò quell'esperienza per diversi anni.

Mi giro, punto la branda e sto per muovermi, ma la trovo occupata.
Due gambe magre e piccole, gli abiti lisi, il volto bianco, le labbra viola, lo sguardo ritorto: quel bambino è ancora lì a fissarmi, anche dopo che ho confessato, anche dopo che ho finalmente smesso di essere un codardo.
Si scosta di lato, fluttuando sul materassino della branda e mi fa cenno con la mano di sedermi accanto a lui. Sospiro, non ho molto da fare ora, per un momento penso che avere visioni allucinanti non è definito sano dalla medicina moderna.
Ma è solo per un momento.
Infine mi siedo ed un cigolio accompagna il posarsi delle mie chiappe.

<Ti ringrazio> La voce cupa e spettrale di chi non appartiene a quel mondo
<...>
<Il tuo spirito ha smesso di urlare>
<... il mio spirito?>
<Si, tutti lo sentivano>
<Come?>
<Il tuo spirito è connesso al mondo dei morti, le sue urla erano nomi. Tu ci chiamavi a te>
<... per tormentarmi>
Il volto morto del bambino si anima in un sorriso
<Per confortarti>
<Eppure a me non sembra>
<Il codardo che c'è in te voleva essere confortato, per dimenticare, l'uomo buono che c'è in te, non voleva essere confortato, per poter ricordare, per poter soffrire>
<Voi non siete i miei demoni quindi...>
<Non lo siamo, tra di noi ci sono molti ragazzi, molti adulti, ma loro non vogliono avvicinarsi troppo a te>
<Perchè?>
<Perchè non avresti sofferto come volevi>
<... E voglio ancora soffrire?>
<Si>
<Per quanto tempo?>
<Sai rispondere a queste domande>
<... Sentirselo dire da qualcun altro, ogni tanto, rafforza le convinzioni>
<Per sempre, tu non sei capace di perdonare gli altri perchè non sei capace di perdonare te stesso>
<Per sempre è un tempo molto lungo>
<E' il tempo necessario, ma non temere>
<... il mio spirito ha smesso di urlare>
<Non sarà come prima>
L'immagine del ragazzino comincia a sbriciolarsi come polvere nell'aria, io conosco la risposta.
<... Perchè ho vinto sui miei demoni>
Il ragazzino sorride e scompare, la stanza torna scura e silenziosa. Qualche minuto dopo mi lavo nuovamente il volto, faccio una puntata al cessetto e torno infine a sedermi sulla branda.
Il mio pensiero va ai miei ex commilitoni, a cosa pensano di me ora. Ai miei nemici, posso quasi sentire le loro risa per vedermi ingabbiato come uno di loro.
Lelaine è là fuori, da qualche parte, mi chiedo se mi ama ancora, se verrà a trovarmi, mi chiedo se rivedrò mai Cane, se farò in tempo ad uscire di prigione per poter passare con lui qualche anno di vita prima che mi lasci.
Vorrei dirlo a Lelaine, adesso, che la amo, vorrei tanto dirglielo, vorrei tanto vederla sorridere, vorrei tanto legarla in questo modo a me. Ci vuole coraggio, un coraggio che sento mio ora.

<... Perchè ho vinto su me stesso>

sabato 3 agosto 2013

The Mirror

Sto camminando nel buio, nudo, l'eco dei miei passi si trasporta chissà dove in quell'immensa distesa ombrosa.
Sono nudo, mi osservo mentre muovo lento e cadenzato verso l'ignoto.
Inizialmente è solo una figura lontana, un bagliore improvviso e tenue che mi attira, man mano che mi avvicina lo scorgo con più chiarezza e consapevolezza: uno specchio immerso nel buio.
Incrinato in più punti, quasi stanco e piegato dal tempo e dallo spazio, opaco in molte zone; restituisce una luce riflessa strana, non pulita.
Mi avvicino con calma, non ho nessun motivo di voler affrettare quel momento, il momento che qualche mala lingua nella mia mente aveva preannunciato, sussurrandomi nel sonno.
Passa poco, che sono fermo davanti all'enorme specchio, riesco a vedere i punti che lo tenevano in piedi, dritto e solido: Mika, Electra, Nancy, Scott.
Ogni punto si aggrappa ad un lato dello specchio con la forza di un artiglio, riesco a vedere i danni che hanno provocato; le incrinature profonde di Mika, di Electra e di Scott e poi c'è la spaccatura diagonale di Nancy. La spaccatura che tutti gli altri punti, che ancora non hanno snaturato il loro compito, stanno tenendo unita: Cane, Lelaine, Arch, Anya.
Ma è questione di poco tempo ormai, lo so.
Qualcuno l'avrebbe spaccato definitivamente prima o poi, non poteva sopravvivere a lungo, non dopo quello che è successo.
Per questo sono qui.
Per questo mi sto avvicinando.
Per questo ora vedo il mio riflesso e quello di Cane, nello specchio.
<Woof>
Mi volto, ma non è di fianco a me, è solo nello specchio.
Cambio postura, alzo il braccio, mi sposto indietro con la gamba destra e poi scatto in avanti con il pugno, il pugno che si infrange sullo specchio.
E Nel buio, nell'oscurità, una immensa pioggia di frammenti scintillanti, con gli ultimi bagliori in un arcobaleno, prima di spegnersi definitivamente e rovinare per terra in un tonfo sordo.
Ansimo, soffro... Il pugno sanguina.
Ma il lavoro non è ancora finito.
<Woof>
<Si, lo so>
Mi armo delle mie mani e delle mie dita e prendo i frammenti più grandi, quelli rimasti e li rimetto in un ordine apparente, incollandoli tra loro con il poco legante che mi è rimasto, il legante che non mi ha ancora abbandonato.
Ed infine ecco ciò che rimane della mia anima: un piccolo specchio sgangherato, crepato in più punti, ma finalmente libero, epurato dagli artigli e dal dolore.
La luce che emette è ancora sporca, opaca e sinistra...
<Woof>
<Si Cane, basta così>
<Woof?>
<Puliremo ciò che rimane di questa mia anima molto presto, non ho cambiato idea>
Chiudo gli occhi e mi lascio trasportare; mentre abbandono quel luogo, ritornando ai dolori ed alle fatiche del mio corpo, sento di nuovo quelle parole, così profonde, così fastidiose, eppure così vere...
Sei un brav'uomo, Bernardo
<Tra poco, Lela, tra poco>