domenica 9 febbraio 2014

Memories of Abe Stone - 1

La carrozza sobbalza sulla strada irregolare che conduce a villa Nora, la residenza festiva della famiglia Sanders, una delle più ricche casate latifondiste di Clackline.
Sono giovane, dentro e fuori, ho diciannove anni, i capelli in ordine ed il pizzetto curato. Mio fratello Jona siede di fronte a me, la moda ed il ceto sociale lo costringono a tenere un look analogo al mio e sebbene sembri sopportarlo so fin dentro le mie ossa che non è affatto così. Accanto a lui la promettente pargola della famiglia Lee, i medici che sin dai tempi della prima epoca schiavile hanno servito gli Stone in modo impeccabile.
Il paesaggio è rigogliosamente ricoperto di neve che cade dal cielo con un ritmo costante oramai da diversi giorni, ma il clima non ha fermato la frenesia dei latifondisti nell'organizzare feste e banchetti.
Quando mio fratello alza lo sguardo su di me, capisco che le cose non vanno bene. Non stanno andando bene da circa un anno.
Sono io a rompere il silenzio, abbozzando un sorriso
"Era da qualche settimana che non ricevevamo un invito"
"Già, stavo cominciando ad abituarmi, ma nostro padre deve aver mosso i letti dei fiumi per farci invitare"
"Come credi che andrà la serata?"
"Tutti ci sorrideranno, tutti si complimenteranno per la grande capacità gestionale finanziaria che ci ha permesso di triplicare il fatturato nel giro di un anno, tutti vorranno conoscere Jade"
Mio fratello devia lo sguardo grigio sulla ragazzina che siede accanto a lui: è composta, seria e tranquilla. La conversazione passa a me.
"Sarai una straordinaria cocchiera, Jade Lee"
"Si padron Stone"
"Abe, guarda"
Jona attira la mia attenzione puntando il dito verso l'esterno: oltre il vetro vicino ad un albero di villa Nora un gruppo di ragazzini sta ergendo una serie di pupazzi di neve. Riconosco qualcuno di loro, sono i pargoli della genia schiavile appartenente ai Sanders.
Fisso mio fratello ed il suo profilo austero rivolto al mondo di fuori, so perchè me li ha indicati, so cosa sta pensando.
E' lui questa volta a rompere il silenzio.
"Tieni in rotta il battello questa sera"
"Non preoccuparti, ci andrò leggero con il vino"
"Grazie"
Più ci avviciniamo al viale alberato che conduce all'ingresso, più Jona si fa distante; quando la carrozza si ferma e le porte vengono aperte, siamo i Fratelli Stone, ma lui è un'altra persona.

Quando scendiamo dalla carrozza tutti i volti dei presenti voltano in nostro favore.
Jona indossa un abito scuro di tessuto semplice ornato di finissime cuciture d'oro sui polsini e sul colletto, i pantaloni sono del medesimo colore della giacca, le scarpe con un leggero tacchetto e lucide. Sebbene l'abbigliamento non sia affatto così appariscente, il viso pulito, il capello corto e gli occhi grigi sono pregni di una tale austerità e serietà del tutto non comune. La pipa accesa tra le labbra è il dettaglio che gli conferisce il carisma di un generale. Quando scende i due gradini della scaletta si pone a lato della carrozza.
In quel momento faccio la mia comparsa e balzo giù con un movimento fluido. Indosso un abito sui toni del marrone con polsini ricamati e bottoni placcati in argento, uno scollo pronunciato fa sporgere la camicia voluminosa, i pantaloni seguono la stessa linea della giacca ed il tessuto con cui sono confezionati si accartoccia leggermente nella zona delle ginocchia, come prescrive la moda.
Jade Lee è l'ultima a scendere; per l'occasione suo padre le ha fatto confezionare un abito sobrio e pulito, sui toni del chiaro, poco appariscente. La spilla dei Lee spicca sul bavero fregiando la ragazzina di un rispetto meritato tra i latifondisti.
Jona mi guarda, io ricambio, un sorriso leggero e ci avviamo a stringere mani e baciare guance. La festa può cominciare.

Si chiama Amanda, è una ragazza molto bella, dai lineamenti taglienti e decisi, alta più o meno come me. Indossa un abito corto blu cobalto che mette in risalto le gambe snelle coperte da calze velate color carne, sacrificando l'esposizione del seno che rimane nascosto da una scollatura del tutto casta. Un gioiello di squisita semplicità si adagia sulle curve del petto ed un paio di scarpe vertiginosamente alte mettono in risalto il collo del piede.
Sto ballando con lei da almeno un quarto d'ora ed ogni volta che si avvicina non manca di sussurrarmi qualcosa per la quale fatico molto a contenermi.
Quando la musica cambia decido di bere qualcosa con lei; beviamo molto e in breve tempo ci concediamo qualche tiro di Blast.
Mentre sgattaiolo via condotto dalla presa salda della sua morbida e calda mano, colgo lo sguardo di Jona che si distoglie da me con rassegnazione e quello di Jade che gli sta portando un vassoio di dolci.

Quando la porta della stanza si chiude alle nostre spalle, Amanda agguanta il tavolino e compone in breve tempo una pista di droga. Io estraggo da una credenza il vino ed i bicchieri, cominciando a versarlo.
Vedo nel riflesso del liquido rosso gli occhi grigi di mio fratello che mi fissano con tristezza.
Amanda non ha nemmeno finito di tirare il primo centimetro di Blast che mi approprio del suo corpo e la trascino per terra in una spirale di sesso e dissolutezza senza fine.
Lasciare al vizio e all'eccesso il controllo delle mie azioni sembra facile e in effetti lo è davvero, del resto non sono io l'erede.

Ma più traggo piacere, più soffro, per quegli occhi grigi profondi e tristi che fino a qualche istante prima mi avevano guardato, speranzosi di un affetto oramai avvizzito da tempo.

sabato 1 febbraio 2014

A Twisted Foe

Il metallo che preme contro la mia tempia destra è freddo.
Qualcuno dice che nel momento finale della propria vita, si ripensi a tutto ciò che è stato, tutto ciò che sarebbe potuto essere e tutto ciò che non sarà.
E' una bella metafora per chi vuole insaporire il momento della morte, dargli un'aria solenne e importante; in fondo si dice sia il momento della redenzione o della condanna, il momento in cui ogni colpa viene catapultata davanti agli occhi in modo violento e chiaro.
Ma a parte il volto contratto e crudele del securer che mi fissa torreggiando dall'alto, io non vedo nulla; sento mia un'unica parola:

Fanculo

BLAM

... Le coincidenze sono figure, piani, punti che si sovrappongono, si trovano a coesistere nello stesso spazio e nello stesso tempo. Nascono con la semplicità con cui nascono i vermi: adulte, formate e emergono sul terreno della realtà nei giorni di pioggia.

La pioggia cadeva violenta e senza pietà sulle strade di Maracay, donando alla città un'aria terribile e tetra. Le attività criminose andavano avanti senza sosta, giorno e notte. Per qualche letterato scellerato dei mondi centrali, descrivere in un racconto la poeticità ed il colore conferito dagli spacciatori e dalle puttane alle strade del quartiere di Las Rosas avrebbe causato orgasmi incontrollati alla nicchia culturale, solo presumibilmente, acculturata di cui avrebbero detto di far parte. Mentre sbatto i denti per il freddo e mi infilo cautamente e rapidamente per le strette vie tra le baraccate, ricordo di aver letto un libro di uno di questi idioti senza cervello: "Il Canto a Las Rosas". Per quanto io possa essere disgustato dai toni aulici e idilliaci del racconto, di per sè pure banale, non posso certo negare quanto la descrizione minuziosa di ogni quartiere e di ogni via di Maracay mi sia stata utile.
Svolto lesto nella strada che mi sta conducendo verso il mio prossimo paziente; medikit a tracolla, vesti logore; la semiautomatica in fondina riposa, non fiata da settimane oramai. La nuova formulazione del farmaco contro il Nyusu mi ha richiesto molte settimane di lavoro e molti fallimenti, forse questa è la volta buona. Forse.
Aggiro una pozzanghera sfruttando la parziale copertura di una tenda gualcita, mentre la baracca di destinazione compare nel nodo di stradine strette e curve. Un lampo squarcia il cielo creando ombre e forme che colpiscono la retina come visioni di fantasmi o terribili mostri.
Ne segue un altro e poi un altro ancora talmente ravvicinato che trovo difficile distinguerlo dal primo. Di nuovo mostri e forme indistinte animano le vie.
Arresto il passo, l'ho visto chiaramente: un uomo tra i bidoni di una baraccata è voltato verso di me, ha in mano qualcosa.
Mi volto e comincio a correre, percorrendo a ritroso la via fino a quel momento battuta: gli stivali pestano con insistenza fango e pozzanghere; svolto prima a destra, poi a sinistra; ogni tanto getto un'occhiata all'indietro e vedo quell'ombra che sta avendo ben più problemi di quanti ne abbia io.
Il rumore di uno sparo percorre l'aria, il proiettile sibila verso le mie gambe, senza colpirmi.
Passato quel singolo e brevissimo istante in cui realizzo di essere ancora vivo, scarto in un viottolo ancora più stretto.
Un altro sparo tuona nell'aria, questa volta davanti a me; il proiettile si conficca nel mio braccio; arpiono con lo sguardo una baracca accessibile e mi ci fiondo dentro con una tale violenza che anche se ci fosse stata una porta l'avrei scardinata.
Mentre il sangue sporca abiti e pavimento, trovo riparo dietro un mobile marcio, estraggo la mia pistola ed attendo in silenzio.
Sento qualcuno entrare, ne conto due.
<Neemar, sappiamo che sei qui, consegnati>
Riconosco la voce di un securer di Hall Point, uno dei miei collaboratori nel periodo passato come dipendente presso lo Skyplex.
Segue un fruscio, qualcuno letteralmente si materializza di fianco a me, mi afferra e mi scaraventa oltre il mobile, in balia degli altri due; cozzo sul suolo pestando il braccio ferito, la pistola mi sfugge dalla presa.
Rantolo.
<Bernardo Neemar, che piacere vederti>
Riesco appena a sollevare lo sguardo e noto che quello che mi ha appena lanciato si trova di nuovo accanto al compare... possiede un upgrade genetico.
<C'è qualcosa che vorresti dire prima di morire?>
Non rispondo, cerco di reagire, ma non ne sono in grado.
La pistola del securer si avvicina alla mia tempia, il sorriso beffardo e maligno sul volto di quell'uomo mi ricorda il mio molto tempo prima.

Il metallo che preme contro la mia tempia destra è freddo.
Qualcuno dice che nel momento finale della propria vita, si ripensi a tutto ciò che è stato, tutto ciò che sarebbe potuto essere e tutto ciò che non sarà.
E' una bella metafora per chi vuole insaporire il momento della morte, dargli un'aria solenne e importante; in fondo si dice sia il momento della redenzione o della condanna, il momento in cui ogni colpa viene catapultata davanti agli occhi in modo violento e chiaro.
Ma a parte il volto contratto e crudele del securer che mi fissa torreggiando dall'alto, io non vedo nulla; sento mia un'unica parola:

Fanculo

BLAM

I miei occhi si chiudono, mentre i due securer cadono a terra morti.