venerdì 26 dicembre 2014

Plans [fine]

Come hai fatto a trovarmi?

E' passato qualche giorno da quando ho incontrato nuovamente Lelaine e fino a questo momento siamo stati in volo, su una nave, probabilmente una classe Brigade a giudicare dai dettagli nella cabina in cui sono alloggiato.

Godot ha disertato, sta bene, è sulla nave con noi.

Non mi hanno fatto uscire; non riesco ancora a camminare e Lelaine mi dice poco o niente di quello che voglio sapere. Sostiene che devo prima recuperare in pieno le forze, allora potrò vedere ogni cosa con i miei occhi.

Vi siete messi nei guai ora...

Piange e mi tira uno schiaffo così forte che per qualche secondo perdo la cognizione del tempo. Non appena mi riaggrappo alla realtà la guancia mi pulsa; smuovo la mascella per costringere i tendini a smaltire il trauma.

Devi risolvere questa cosa, Bernardo

- - -

Avevo ragione, la nave era una classe Brigade.
In plancia di pilotaggio Yen Mei, silenziosa ed efficiente come sempre.
Mi precipitai in sala macchine e trovai Arch Stanton. Lui mi sorrise e piegò il capo in un cenno, prima di rimettersi al lavoro. Non servì altro.
Mentre percorrevo i corridoi incontrai Dhemetra, ci abbracciammo con energia.
Ma ciò che mi colpì maggiormente fu Electra Williams che pranzava seduta sui gradini che conducono alle cabine dell'equipaggio. Una lunghissima occhiata, poi un sorriso sghembo, prima del solito tiro di Blast.

Lelaine li aveva cercati, convocati e trascinati su quella nave, in giro per il Rim, per trovarmi.
Perchè la taglia sulla mia testa andava tolta, in un modo o nell'altro: il tavolo attorno a cui ci trovammo tutti seduti aveva quel significato.

Dhemetra: sono in contatto con Blackbourne; vuole cinquantamila dollari per archiviare la questione
Electra: con quella cifra ci compro una pistola in oro e titanio e gli piazzo una pallottola in culo
Bernardo: così nemmeno centomila dollari basteranno
Lelaine: i soldi non sono un problema, possiamo recuperarli
Arch: non è privo di rischi farlo, sei sicuro Bernardo che l'altra strada non è fattibile?
Bernardo: ho privato Hall Point di significativi guadagni smascherando il loro modo di infilare la droga nel Core, non voglio allentare le loro sofferenze in merito... sarebbe come se tutto questo tempo e tutte le nostre azioni fossero state senza senso.
Arch: bene, allora dovremo fare in altra maniera
Electra: ... una bella pallottola nel culo
Lelaine: abbiamo trovato il modo, ma ci vorrà tempo
Dhemetra: recentemente la Proprietà di HP sta cercando un altro luogo per continuare a produrre droga, nel Rim. Se noi riusciamo in qualche modo ad influire sul loro giudizio e a fargli comprare delle nostre proprietà, aggiudicandoci il ricavato, potremo avere i soldi che servono.
Arch: per gli IDN falsi e irrintracciabili ci penso io, sceglieremo un pianeta del Rim, povero dal punto di vista delle difese informatiche e mi introdurrò nel database catastale per assegnare a questi IDN falsi delle nuove proprietà, realmente esistenti, ma in disuso o di cui il proprietario non si è più curato.
Electra: a questo punto HP riceve una voce e poi un'offerta; acquista i nostri immobili, avvalendosi di prestanomi, senza nessuna traccia finanziaria... a quel punto prenderò la mia pistola in titanio ed oro e farò un altro buco nel culo di Blackbourne. Ah!

Può funzionare.

- - -

Nel giro di meno di qualche mese, la taglia sulla mia testa smise di circolare.
Ma decisi di non riappropriarmi del mio vero volto.
Con Arch, Godot, Dhemetra ed Electra rimanemmo uniti da un legame più forte dell'amicizia, un legame che dura tutt'ora.
Io e Lelaine ci trasferimmo su Greenfield, a Jasonville, portando avanti progetti scientifici di grande rilievo. Quando i nostri figli, John e Marij furono abbastanza grandi, ci affiancarono.

Cane se ne andò circa un anno dopo la rimozione della taglia: una mattina non lo trovammo in casa, nè nei campi limitrofi.
Era giunto il suo momento, si era svegliato, era uscito e in silenzio si era lasciato andare.
Come se quella necessità naturale l'avesse reso indegno della mia vista.
Come se si fosse vergognato di non poter più essere il mio sostegno.

Woof

sabato 15 marzo 2014

A Twisted Love

Fluttuo nell'oscurità

La morte ha un sapore strano in bocca, ma non è il momento di curarsene perchè è già avvenuta.
Non è nemmeno poi così male in fondo, c'è pace, c'è silenzio, non sento il tempo che passa sulle mie vecchie ossa, è solo un po' buio e fa anche un po' freddo.
Forse non è nemmeno freddo, è più come un fastidio o una consapevolezza sinistra e strana.
Se cerco di vedere il momento esatto della fine della mia vita non scorgo che quegli occhi truci e i colpi di pistola.
Ci sono tanti bei ricordi però, almeno in una piccola parte della mia vita, in un momento di relativo equilibrio.

Lelaine. Pensando a lei questo ambiente diventa meno freddo, credo di vederla, come in una finestra sul mondo reale, sto fluttuando sopra una sala da ballo e la osservo, vestita di nero, bellissima, mentre danza mascherata con un cavaliere gentile, l'uomo che probabilmente meriterebbe.


In questo mondo senza tempo mi sembra che il freddo sia sempre stato così fastidioso.

Cane. Vecchio pulcioso, sei nato, ti hanno messo tra le mie braccia, sei invecchiato. Non riesco a vederti, non c'è alcuna finestra sul tuo attuale presente ed il tuo ricordo sbiadito è così povero e insufficiente per il mio spirito, per la mia anima.


Il fastidio è un dolore atroce.

Arch. Sei davanti a quella cabina pubblica, stai digitando qualcosa, un messaggio per me, so cosa hai fatto mio caro vecchio amico, eri tu in quella folla che mi osservavi e mi salutavi, sei tu che porti il peso di quel sacrificio. Quanto stai rischiando per me.

Il fastidio picchia contro i miei occhi, è la fine.




Li apro
C'è una luce intensa accompagnata da un vago ronzio metallico, è tutto annebbiato in forme indistinte, una nebbia opalescente.
Abbasso la mano, per cercare di capire dove mi trovo e sento qualcosa di umido che si infila sotto il palmo, ne riconosco il tocco e trasalo. E' allora che il dolore mi prende la testa con una fitta fino a quel momento rimasta in agguato. Devo chiudere gli occhi e stringere il pugno, ma il muso umido rimane ancora nel palmo aperto dell'altra mano, non mi abbandona.
Una porta si apre cigolando metallica sui suoi cardini vecchi e arruginiti.

"Bernardo!"

Tocchi rapidi sul suolo, qualcosa mi piomba addosso, un fruscio gentile, un profumo tenue, una pelle morbida contro la mia guancia, le labbra carnose che incontrano le mie screpolate e spaccate. Le riconosco, so di chi sono.

"...Le"

Esce roco dalla mia bocca mentre la dottoressa continua a spezzarmi il respiro cercando ogni centimetro del mio viso con la dolcezza dei suoi baci.

"Non muoverti asino, non parlare, sono qui con te ora e non ti lascerò mai più andare via"

Mi abbraccia al petto, si incolla a me. La mia sinistra trema piano mentre va ad alzarsi, posandosi sui suoi capelli stancamente. Traggo un sospiro lungo e tenue prima di riaddormentarmi, un sospiro che sa di casa, di liberazione.



Le coincidenze sono figure, piani, punti che si sovrappongono, si trovano a coesistere nello stesso spazio e nello stesso tempo. Nascono con la semplicità con cui nascono i vermi: adulte, formate e emergono sul terreno della realtà nei giorni più cupi, quando cade la pioggia.


domenica 9 febbraio 2014

Memories of Abe Stone - 1

La carrozza sobbalza sulla strada irregolare che conduce a villa Nora, la residenza festiva della famiglia Sanders, una delle più ricche casate latifondiste di Clackline.
Sono giovane, dentro e fuori, ho diciannove anni, i capelli in ordine ed il pizzetto curato. Mio fratello Jona siede di fronte a me, la moda ed il ceto sociale lo costringono a tenere un look analogo al mio e sebbene sembri sopportarlo so fin dentro le mie ossa che non è affatto così. Accanto a lui la promettente pargola della famiglia Lee, i medici che sin dai tempi della prima epoca schiavile hanno servito gli Stone in modo impeccabile.
Il paesaggio è rigogliosamente ricoperto di neve che cade dal cielo con un ritmo costante oramai da diversi giorni, ma il clima non ha fermato la frenesia dei latifondisti nell'organizzare feste e banchetti.
Quando mio fratello alza lo sguardo su di me, capisco che le cose non vanno bene. Non stanno andando bene da circa un anno.
Sono io a rompere il silenzio, abbozzando un sorriso
"Era da qualche settimana che non ricevevamo un invito"
"Già, stavo cominciando ad abituarmi, ma nostro padre deve aver mosso i letti dei fiumi per farci invitare"
"Come credi che andrà la serata?"
"Tutti ci sorrideranno, tutti si complimenteranno per la grande capacità gestionale finanziaria che ci ha permesso di triplicare il fatturato nel giro di un anno, tutti vorranno conoscere Jade"
Mio fratello devia lo sguardo grigio sulla ragazzina che siede accanto a lui: è composta, seria e tranquilla. La conversazione passa a me.
"Sarai una straordinaria cocchiera, Jade Lee"
"Si padron Stone"
"Abe, guarda"
Jona attira la mia attenzione puntando il dito verso l'esterno: oltre il vetro vicino ad un albero di villa Nora un gruppo di ragazzini sta ergendo una serie di pupazzi di neve. Riconosco qualcuno di loro, sono i pargoli della genia schiavile appartenente ai Sanders.
Fisso mio fratello ed il suo profilo austero rivolto al mondo di fuori, so perchè me li ha indicati, so cosa sta pensando.
E' lui questa volta a rompere il silenzio.
"Tieni in rotta il battello questa sera"
"Non preoccuparti, ci andrò leggero con il vino"
"Grazie"
Più ci avviciniamo al viale alberato che conduce all'ingresso, più Jona si fa distante; quando la carrozza si ferma e le porte vengono aperte, siamo i Fratelli Stone, ma lui è un'altra persona.

Quando scendiamo dalla carrozza tutti i volti dei presenti voltano in nostro favore.
Jona indossa un abito scuro di tessuto semplice ornato di finissime cuciture d'oro sui polsini e sul colletto, i pantaloni sono del medesimo colore della giacca, le scarpe con un leggero tacchetto e lucide. Sebbene l'abbigliamento non sia affatto così appariscente, il viso pulito, il capello corto e gli occhi grigi sono pregni di una tale austerità e serietà del tutto non comune. La pipa accesa tra le labbra è il dettaglio che gli conferisce il carisma di un generale. Quando scende i due gradini della scaletta si pone a lato della carrozza.
In quel momento faccio la mia comparsa e balzo giù con un movimento fluido. Indosso un abito sui toni del marrone con polsini ricamati e bottoni placcati in argento, uno scollo pronunciato fa sporgere la camicia voluminosa, i pantaloni seguono la stessa linea della giacca ed il tessuto con cui sono confezionati si accartoccia leggermente nella zona delle ginocchia, come prescrive la moda.
Jade Lee è l'ultima a scendere; per l'occasione suo padre le ha fatto confezionare un abito sobrio e pulito, sui toni del chiaro, poco appariscente. La spilla dei Lee spicca sul bavero fregiando la ragazzina di un rispetto meritato tra i latifondisti.
Jona mi guarda, io ricambio, un sorriso leggero e ci avviamo a stringere mani e baciare guance. La festa può cominciare.

Si chiama Amanda, è una ragazza molto bella, dai lineamenti taglienti e decisi, alta più o meno come me. Indossa un abito corto blu cobalto che mette in risalto le gambe snelle coperte da calze velate color carne, sacrificando l'esposizione del seno che rimane nascosto da una scollatura del tutto casta. Un gioiello di squisita semplicità si adagia sulle curve del petto ed un paio di scarpe vertiginosamente alte mettono in risalto il collo del piede.
Sto ballando con lei da almeno un quarto d'ora ed ogni volta che si avvicina non manca di sussurrarmi qualcosa per la quale fatico molto a contenermi.
Quando la musica cambia decido di bere qualcosa con lei; beviamo molto e in breve tempo ci concediamo qualche tiro di Blast.
Mentre sgattaiolo via condotto dalla presa salda della sua morbida e calda mano, colgo lo sguardo di Jona che si distoglie da me con rassegnazione e quello di Jade che gli sta portando un vassoio di dolci.

Quando la porta della stanza si chiude alle nostre spalle, Amanda agguanta il tavolino e compone in breve tempo una pista di droga. Io estraggo da una credenza il vino ed i bicchieri, cominciando a versarlo.
Vedo nel riflesso del liquido rosso gli occhi grigi di mio fratello che mi fissano con tristezza.
Amanda non ha nemmeno finito di tirare il primo centimetro di Blast che mi approprio del suo corpo e la trascino per terra in una spirale di sesso e dissolutezza senza fine.
Lasciare al vizio e all'eccesso il controllo delle mie azioni sembra facile e in effetti lo è davvero, del resto non sono io l'erede.

Ma più traggo piacere, più soffro, per quegli occhi grigi profondi e tristi che fino a qualche istante prima mi avevano guardato, speranzosi di un affetto oramai avvizzito da tempo.

sabato 1 febbraio 2014

A Twisted Foe

Il metallo che preme contro la mia tempia destra è freddo.
Qualcuno dice che nel momento finale della propria vita, si ripensi a tutto ciò che è stato, tutto ciò che sarebbe potuto essere e tutto ciò che non sarà.
E' una bella metafora per chi vuole insaporire il momento della morte, dargli un'aria solenne e importante; in fondo si dice sia il momento della redenzione o della condanna, il momento in cui ogni colpa viene catapultata davanti agli occhi in modo violento e chiaro.
Ma a parte il volto contratto e crudele del securer che mi fissa torreggiando dall'alto, io non vedo nulla; sento mia un'unica parola:

Fanculo

BLAM

... Le coincidenze sono figure, piani, punti che si sovrappongono, si trovano a coesistere nello stesso spazio e nello stesso tempo. Nascono con la semplicità con cui nascono i vermi: adulte, formate e emergono sul terreno della realtà nei giorni di pioggia.

La pioggia cadeva violenta e senza pietà sulle strade di Maracay, donando alla città un'aria terribile e tetra. Le attività criminose andavano avanti senza sosta, giorno e notte. Per qualche letterato scellerato dei mondi centrali, descrivere in un racconto la poeticità ed il colore conferito dagli spacciatori e dalle puttane alle strade del quartiere di Las Rosas avrebbe causato orgasmi incontrollati alla nicchia culturale, solo presumibilmente, acculturata di cui avrebbero detto di far parte. Mentre sbatto i denti per il freddo e mi infilo cautamente e rapidamente per le strette vie tra le baraccate, ricordo di aver letto un libro di uno di questi idioti senza cervello: "Il Canto a Las Rosas". Per quanto io possa essere disgustato dai toni aulici e idilliaci del racconto, di per sè pure banale, non posso certo negare quanto la descrizione minuziosa di ogni quartiere e di ogni via di Maracay mi sia stata utile.
Svolto lesto nella strada che mi sta conducendo verso il mio prossimo paziente; medikit a tracolla, vesti logore; la semiautomatica in fondina riposa, non fiata da settimane oramai. La nuova formulazione del farmaco contro il Nyusu mi ha richiesto molte settimane di lavoro e molti fallimenti, forse questa è la volta buona. Forse.
Aggiro una pozzanghera sfruttando la parziale copertura di una tenda gualcita, mentre la baracca di destinazione compare nel nodo di stradine strette e curve. Un lampo squarcia il cielo creando ombre e forme che colpiscono la retina come visioni di fantasmi o terribili mostri.
Ne segue un altro e poi un altro ancora talmente ravvicinato che trovo difficile distinguerlo dal primo. Di nuovo mostri e forme indistinte animano le vie.
Arresto il passo, l'ho visto chiaramente: un uomo tra i bidoni di una baraccata è voltato verso di me, ha in mano qualcosa.
Mi volto e comincio a correre, percorrendo a ritroso la via fino a quel momento battuta: gli stivali pestano con insistenza fango e pozzanghere; svolto prima a destra, poi a sinistra; ogni tanto getto un'occhiata all'indietro e vedo quell'ombra che sta avendo ben più problemi di quanti ne abbia io.
Il rumore di uno sparo percorre l'aria, il proiettile sibila verso le mie gambe, senza colpirmi.
Passato quel singolo e brevissimo istante in cui realizzo di essere ancora vivo, scarto in un viottolo ancora più stretto.
Un altro sparo tuona nell'aria, questa volta davanti a me; il proiettile si conficca nel mio braccio; arpiono con lo sguardo una baracca accessibile e mi ci fiondo dentro con una tale violenza che anche se ci fosse stata una porta l'avrei scardinata.
Mentre il sangue sporca abiti e pavimento, trovo riparo dietro un mobile marcio, estraggo la mia pistola ed attendo in silenzio.
Sento qualcuno entrare, ne conto due.
<Neemar, sappiamo che sei qui, consegnati>
Riconosco la voce di un securer di Hall Point, uno dei miei collaboratori nel periodo passato come dipendente presso lo Skyplex.
Segue un fruscio, qualcuno letteralmente si materializza di fianco a me, mi afferra e mi scaraventa oltre il mobile, in balia degli altri due; cozzo sul suolo pestando il braccio ferito, la pistola mi sfugge dalla presa.
Rantolo.
<Bernardo Neemar, che piacere vederti>
Riesco appena a sollevare lo sguardo e noto che quello che mi ha appena lanciato si trova di nuovo accanto al compare... possiede un upgrade genetico.
<C'è qualcosa che vorresti dire prima di morire?>
Non rispondo, cerco di reagire, ma non ne sono in grado.
La pistola del securer si avvicina alla mia tempia, il sorriso beffardo e maligno sul volto di quell'uomo mi ricorda il mio molto tempo prima.

Il metallo che preme contro la mia tempia destra è freddo.
Qualcuno dice che nel momento finale della propria vita, si ripensi a tutto ciò che è stato, tutto ciò che sarebbe potuto essere e tutto ciò che non sarà.
E' una bella metafora per chi vuole insaporire il momento della morte, dargli un'aria solenne e importante; in fondo si dice sia il momento della redenzione o della condanna, il momento in cui ogni colpa viene catapultata davanti agli occhi in modo violento e chiaro.
Ma a parte il volto contratto e crudele del securer che mi fissa torreggiando dall'alto, io non vedo nulla; sento mia un'unica parola:

Fanculo

BLAM

I miei occhi si chiudono, mentre i due securer cadono a terra morti.

mercoledì 1 gennaio 2014

A twisted medicine

Cristobal è nato qui, tra le strade tortuose e sporche dei quartieri poveri di Maracay; vie che mi trovo a percorrere ora, con la neve battente ed abiti fin troppo leggeri per il clima rigido.
Vesto grigio scuro di solito, una giacca a coprirmi le spalle ed il medikit nella destra, sempre inevitabilmente sfornito di qualcosa; sotto gli abiti, riposta nella fondina ascellare c'è l'affidabile semiautomatica Blue Sun.
Se qualcuno cercasse Mullin Lee Carter non lo troverebbe di certo quaggiù: la mia faccia è completamente priva di barba, mi sono bruciato con l'acido il lato sinistro, in corrispondenza dell'occhio cieco, ora attraversato da una cicatrice bianca piuttosto vistosa e per quanto riguarda l'IDN, me ne sono procurato uno falso, da me. Non è la miglior copertura possibile, ma è quella che meglio posso gestire.
Ho ancora qualche difficoltà con l'accento e con il modo di vestirmi, sembra che avere gli abiti giusti non sia sufficiente: c'è un modo particolare di portarli, una disinvoltura e dei dettagli di moda che a me mancano, ma ci sto lavorando.
Sto camminando da qualche minuto, i residui dei festeggiamenti della notte passata sono riversati tutti nelle strade. Il capodanno a Maracay si festeggia in modo povero, ma molto vistoso: la comunità cattolica è vasta e radicata e nonostante la costante presenza della piaga della droga che aleggia come un corvo a tre occhi su ogni abitante delle immense baraccate, nessuno perde l'occasione di essere felice, almeno uno o due giorni all'anno.
Mentre cerco la baracca verso cui sono stato dirottato da un disperato presentatosi alla mia porta nel cuore della notte, penso a tutto ciò che ho scoperto sul mondo della droga fino ad ora.
Chi pensa che le vittime del mercato della droga risiedano nei mondi più evoluti sta sbagliando di grosso; le conseguenze peggiori ci sono sui pianeti in cui la droga viene prodotta.
Innanzitutto ci sono molti corrieri: ragazzini che non appena sono in grado di camminare o correre, vengono venduti dalle famiglie alle cosche criminali locali, nella speranza di guadagnare qualche soldo per poter mangiare. Il compito dei corrieri è portare messaggi scritti o qualsiasi altra cosa, il più rapidamente possibile da un punto ad un altro. A Maracay si dice che gli spiriti demoniaci privino della parola tutti i bambini venduti dai genitori. Ho scoperto con mio grande orrore che non sono gli spiriti demoniaci a farlo, ma gli stessi aguzzini per cui lavorano: tagliano loro la lingua con un ferro rovente e a svolgere questa pratica ci sono degli specialisti che nemmeno Dio sa a quale demone hanno venduto l'anima.
Nel migliore dei casi il bambino sopravvive, perdendo completamente la capacità di parlare, che unita all'incapacità di scrivere e leggere lo rendono un perfetto e ligio collaboratore.
Ma anche quando sopravvive, le torture che deve sopportare non sono finite. Per assicurarsi che tornino sempre da loro e che portino a termine gli incarichi assegnati, i criminali li rendono dipendenti da sostanze stupefacenti create dai residui chimici dei composti impiegati per la creazione delle droghe destinate al commercio interplanetario. Uno di questi mostri contro cui sto combattendo da mesi oramai è il Nyusu, che tradotto dal dialetto locale vuol dire Possessione, Dominio, Condanna: è una droga che allevia i sintomi della fame e rende sensorialmente molto reattivi agli stimoli esterni, ma crea una fortissima dipendenza fisica dopo le prime assunzioni.
Sono arrivato.
La porta della baraccata presso cui devo prestare soccorso è davanti ai miei occhi; qui stando a quanto mi hanno detto c'è uno di questi corrieri, un ragazzino che ha lavorato per anni alle dipendenze delle cosche ed ora che è cresciuto abbastanza è riuscito a comprare la sua libertà; ma i segni che il Nyusu ha lasciato sul suo corpo e sulla sua anima sono quasi indelebili.
Apro la porta dopo aver bussato un paio di volte, vedo poche facce smunte ad osservarmi, ma non le catalogo nemmeno; non faccio in tempo a dire nulla che mi dirigono subito verso il letto, dove il ragazzino sta respirando a fatica, preso dalle convulsioni.
Spiccico qualcosa nel dialetto locale, sembrano capirmi perchè si fanno da parte e mi procurano una scodella di acqua fresca, ovviamente sporca.
Mentre apro il medikit penso che sono settimane che sto lavorando ad un farmaco contro le crisi convulsive causate nel lungo periodo del Nyusu; nessuno dei ragazzini a cui l'ho somministrato è riuscito a sopravvivere nè a migliorare, ma sento che questa è la volta buona.
Afferro la mascella del bambino e impongo ai parenti o a chiunque siano quelli presenti attorno, di tenerlo fermo bloccandogli gambe e braccia. Quando l'ago della siringa si conficca nel petto ed il farmaco fluisce nei vasi sanguigni, tutti smettono istantaneamente di respirare.
Le convulsioni rapidamente diminuiscono di intensità fino a cessare del tutto; il respiro si fa regolare anch'esso, lento... sempre più lento... fino a fermarsi del tutto.
Mi scosto dalla branda sudicia e povera, il mio unico occhio si posa sullo scarno mobilio di sesta mano presente nella baracca prima di incontrare uno ad uno gli sguardi dei presenti.
Appoggio indice e pollice sulle palpebre del bambino, devo abbassarle tre volte prima che rimangano giu senza riaprirsi.
Nessuno dice niente, sanno che ho fatto tutto ciò che potevo, qualcuno probabilmente mi ringrazierebbe anche per aver concesso un singolo momento di pace a quella povera creatura prima che spirasse.
Ma quel bambino è morto ed io l'ho ucciso con ciò a cui ho dato il via in passato.

Devo rivedere questa formula, il farmaco deve funzionare al più presto.