martedì 25 giugno 2013

The Dog Named Dog

Le prime settimane da quando il dottor Armand Cooper mi appioppò il cucciolo di Bloodhound furono estremamente traumatiche.
La bestia pulciosa scorrazzava per casa come un ossesso, mordicchiando qualunque oggetto gli capitasse a tiro, inghiottendo qualsiasi cosa lasciavo incustodita. Era già stato svezzato da tre mesi, eppure faticavo a nutrirlo, forse perchè si riempiva lo stomaco di tutto ciò che trovava in giro. Molto più probabilmente aveva ricevuto una cattiva educazione a riguardo.
Inevitabilmente questo suo modo di comportarsi gli causò presto un blocco intestinale.
Chiesi al dottor Cooper di procurarsi una macchina per radiografie portatile; il blocco non era di natura organica, non si sarebbe sciolto con il passare dei giorni: l'animale doveva essere operato.
Lo facemmo io e il mio ex collega, in casa: sedammo la bestia ed eseguimmo l'intervento. Non fu particolarmente lungo e tutto andò bene.
La sera il dottor Cooper se n'era andato lasciando quella casa con un sorriso soddisfatto; io ero rimasto di fianco al lettino dove riposava il mio cane. Era costantemente monitorato, non poteva accadergli null'altro, poteva solo sopravvivere.
La mattina dopo mi svegliai, avevo dormito tutta la notte lì, su quella poltrona. La gamba era solita farmi un male fottuto quando non dormivo sdraiato, così maledissi quel pulcioso essere per avermi tenuto lì incollato alla sua brandina. Il cane era sveglio, mi fissava con occhi liquidi.
<Ora hai un debito con me, mio puzzolente amico>
Vincevo la solitudine parlando con qualcuno che non poteva capirmi, ma sicuramente mi ascoltava.
<Che ne dici di darmi una mano a camminare, Cane?>
Mi alzai in piedi con uno sforzo notevole, lui fece lo stesso reggendosi a malapena sulle zampe ancora intorpidite dall'anestesia. Gli occhi fissi su di me.
<Cane non è un brutto nome>
Mi parve esserne soddisfatto.
Lo chiamai con il nome della sua specie perchè è quello, è un cane, come io per lui sono un uomo. Nella mia testa era una forma di rispetto che segnava una linea di separazione tra il suo mondo ed il mio. Io non gli avrei imposto schemi e comportamenti che non avrebbe potuto comprendere, lui non avrebbe fatto lo stesso.
La cosa sembrò funzionare.
Non appena si fu ripreso, cominciai ad addestrarlo per darmi assistenza nelle passeggiate; presto mi resi conto che esercitavo una grande autorevolezza nei suoi confronti e capii che lui non desiderava altro che essere guidato. Ogni tanto saggiava i suoi limiti, cercando di prevaricarmi, ma lo riportavo subito alla disciplina; dapprima con parole e gesti, poi soltanto con le parole, infine furono sufficienti solo gli sguardi.
Durante la guerra non potevo lasciarlo a Greenfield; lo portai con me lungo i fronti, nelle infermerie da campo. Mentre io lavoravo, lui spendeva il tempo riposando o spostandosi tra i feriti chiedendo un po' di contatto; che io ricordi erano gli unici momenti in cui sul volto dei feriti riuscivo a scorgere un sorriso, stanco si, ma pur sempre un sorriso.
Quando mi riposavo, lui dormiva assieme a me sulla branda. Si, stavo facendo la cosa giusta.
Cane mi aiutò a superare gli orrori della guerra, quando avevo un dubbio su ciò che stavo facendo mi guardavo le spalle, lui era sempre con me, mi fissava. In qualche modo mi convinsi che se avessi fatto la mossa sbagliata me l'avrebbe fatto capire, allontanandosi da me. Lui non se ne andò ed era come se anche Dio fosse d'accordo con ciò che stavo facendo.
Quando tornai alla mia tenuta su Greenfield, alla fine della guerra, sapevo che potevo ancora fare qualcosa di interessante o divertente nella mia vita. Cane mi seguì, senza mai far mancare il suo affetto e la sua presenza.

Mi sveglia un rumore di passi, Lelaine passa accanto alla stanza dove sono sdraiato, sento la testa di Cane che si alza per guardarla; la luce della luna mi lascia in ombra, lei fa un cenno del capo al Bloodhound e passa oltre. Per un momento penso di alzarmi, uscire, raggiungerla e finire ciò che ho cominciato quella stessa sera al parco. In effetti mi alzo, arrivo alla porta... e la chiudo.

Emergo dal sonno... la stanza è buia, la porta chiusa, muovo la mano lungo la superficie del letto fino a incontrare le grosse e setose orecchie di Cane. Anche se non lo vedo, so che l'ho svegliato, so che mi sta fissando. So che il pelo sta cominciando in alcuni piccoli punti a mostrare dei ciuffetti più sbiaditi, segno che è all'apice dell'età adulta, segno che da oggi comincerà la discesa della parabola della vita.

Sospiro e scaccio i tristi pensieri con il ricordo felice del primo nostro incontro, con il ricordo del suo profondo sguardo... Sono tre giorni che ho sostituito questo pensiero al desiderio di consumare alcol... Per ora funziona.

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