lunedì 17 giugno 2013

Economia

Bip ... Bip... Bip...
<Dottor Neemar, il paziente ci sta lasciando>
<Lo vedo>
Nelle infermerie da campo vicino al fronte di Guerra, dove arrivano ondate di soldati feriti, bisogna saper gestire le risorse a disposizione. I carichi di medicinali e strumenti arrivano più o meno puntuali ogni settimana, ma qualche volta si rimane senza farmaci per sedici giorni. In quei momenti il tuo ruolo di salvatore di vite si sposa con il ruolo dello spietato carnefice.
<Dottor Neemar!>
<Non possiamo salvarlo>
<Possiamo, una iniezione di Xelophon e un altro intervento…>
Sono rapido, uno dei miei gomiti si stampa sulla bocca del neo assistente paramedico. Lui vola a terra tenendosi il volto, gli altri lo osservano ammutoliti, mi volto verso di loro.
<Questo soldato è al di là del nostro aiuto>
Faccio per voltarmi e guardo il soldato, è svenuto per il dolore. Il team si dirige subito su un altro commilitone che abbisogna delle nostre cure. Di lì a poco il soldato senza speranza muore, lo copro personalmente con un lenzuolo candido, lo faccio in fretta, senza cerimonie, solo uno sguardo alle sue labbra secche.
La sera mi recai nella tenda del paramedico che poche ore prima avevo colpito con ferocia e freddezza. Entrai e mandai fuori ogni altro presente. Mi sedetti su una branda, lui mi fissava seduto sulla sua, le mani gli tremavano, il sangue si era da poco rappreso sullo spacco delle labbra.
<Quei soldati sono carne da mecello, sono numeri, i numeri vengono e vanno, non affezionatevi, non attaccatevi alla vita, loro sanno qual è il loro ruolo, noi sappiamo qual è il nostro>
Un mantra che mi ripetevo spesso, che non avevo difficoltà a inculcare nei neofiti che arrivavano al fronte pieni di buoni sentimenti e buone speranze. Sentimenti che mi preoccupavo di distruggere subito, altrimenti non sarebbero mai stati dei buoni assistenti.
<Quell’uomo poteva essere salvato, i farmaci c’erano, anche le attrezzature, sei un assassino>
Il suo sguardo di accusa non mi causa nessuna emozione
<in un buon ospedale di Horyzon, con una troupe medica specialistica e risorse ingenti si, poteva essere salvato, ma non qui. Le scorte sono limitate, sono calcolate in media per ogni soldato, quello aveva superato la dose di cure riservatagli; salvare lui avrebbe significato condannare gli altri che avevano più speranza>
Il mio sguardo deve essere mostruoso, perché mi osserva sgomento, incapace di replicare per qualche lungo istante che pare non finire mai. Io mentalmente mi preparo alla prossima arringa accusatoria, come un serpente si prepara a colpire la sua preda con il secondo morso.
<Nei report di guerra che>
<Non farmi ridere, non dicono cosa facciamo realmente. Chi verrebbe altrimenti? Quale medico verrebbe, conscio di non poter onorare il giuramento fatto?>
Mi alzo dalla branda ed esco dalla tenda, cammino al chiaro di luna, uno dei soldati mi scorta, qualche volta lo osservo e penso che lui potrebbe essere il prossimo a finire in infermeria, il prossimo ad essere dichiarato oltre il punto di non ritorno, il prossimo ad esaurire la quantità media di farmaci a lui riservati. Nonostante ciò non sembra curarsene granchè, lui sa.
La mattina dopo mi presento in infermeria come ogni giorno, so che hanno in programma un assalto oggi, so che tra poco nella tenda entreranno fiumi di soldati feriti; guardo uno ad uno i membri del mio staff, mi ripasso mentalmente le loro competenze ed osservo i loro volti. Sono tutti ottimi medici, sono orgoglioso del loro lavoro, anche se non pensano lo stesso né di me né di loro stessi. Anche il nuovo arrivato mi osserva ed annuisce, con il labbro spaccato. Penso che non dovrei dire ciò che sto per dire.
<Dio ci perdoni perché oggi morirà qualcuno, Dio ci perdoni perché le nostre risorse sono limitate, Dio ci perdoni perché, qui, ciò che è bene è anche ciò che è male>

Dio mi perdoni, perché non credo nel suo nome.

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